Ho scoperto il Focusing tardi nella vita, dopo un lungo percorso di ricerca (visualizzazioni guidate, Counseling e Psicosintesi, Biodanza, ipnosi Ericksoniana, ricerca Spirituale nella tradizione occidentale , ecc.).
Ma quando l’ho incontrato mi sono fermata perché per me è stata, ed è ancora, una pratica insostituibile, un viaggio interiore di una ricchezza enorme che ho intrapreso innanzitutto per me stessa e con me stessa, ma che presto ho voluto condividere con chiunque anche solo intuisca tutta la bellezza e la forza che io ho scoperto e voglia fidarsi e impiegare il tempo necessario a portarlo nella propria vita.
Ognuno di noi ha il suo tempo e il suo modo di far proprio il Metodo; per me non è stato così veloce e immediato anche se la mia prima sessione individuale è stata di importanza fondamentale e mi ha indotto a sviluppare tutta la pazienza e la costanza necessarie a superare le prime difficoltà.
Il mio incontro con il Focusing risale a circa nove anni fa ed è avvenuto “tracciando” la parola “Focusing” letta a piè di pagina in un libro di Counseling e seguendo il “filo rosso” delle coincidenze che mi hanno portata, dopo qualche mese, ad incontrare la mia Mentore Germana Ponte.
Ricordo che la mia prima giornata di formazione mi lasciò un po’ confusa. Mi ero iscritta “di corsa” senza sapere nulla di più di ciò che avevo letto in Internet, senza aver partecipato ad alcuna presentazione. “Ma questo Focusing cos’è esattamente ? …” E come faccio a focalizzare ?” …”Mah, avrò capito bene ?”
Però Germana ha sempre abbinato alle giornate in gruppo alcune sessioni individuali guidate da lei. Cosa che ora faccio anch’io avendone vista tutta l’importanza, l’efficacia e la potenza.
Così circa un mese dopo il mio primo incontro di gruppo, mi presentai a Milano da Germana con l’argomento perfetto per fare la mia prima sessione di Focusing: un problema di lavoro fresco del giorno prima. Non un qualcosa di enorme, non il problema più antico o grande o affezionato, ma qualcosa di circoscritto al contesto e al momento, però sufficientemente disturbante da aver scatenato emozioni contrastanti e spiacevoli e dall’aver viaggiato “stretto stretto” a me fino a Milano. Non avevo nessun tipo di aspettativa, avendo capito così poco dalla prima giornata, ma ero certamente agitata ed in ansia per gli eventi accaduti precedentemente.
Germana mi guidò in una “sintonizzazione” col corpo, lenta e profonda, così tutto il mondo attorno a me sfumò in un sottofondo accogliente ma ininfluente: c’era solo il mio sentire corporeo che si risvegliava a se stesso e alle sue percezioni. Fu un’esperienza emozionante che mi aprì alle sensazioni significative, ai simboli interni e a un grande senso di “pace con se stessi” e che mi permise di accogliere tutto ciò che era successo il giorno prima “esattamente così come si era verificato” , senza rifiuto e senza giudizio. Come a dire : “Sì, ok. Questo è quello che c’è, che è accaduto. E ci sto assieme un po’ per sentire ciò che le sensazioni e le emozioni collegate, mi vogliono dire, con calma, fino a lasciar emergere quella sensazione più precisa, più significativa che riassume tutto il vissuto, ciò che è successo e anche la direzione migliore da prendere per stare meglio.”
Mi ricordo che da quello stato particolare riuscii a fare spazio a tutte le emozioni che si erano mosse in quella circostanza, senza esserne travolta pur sentendole bene: rabbia, delusione, senso di ingiustizia e quindi anche dolore. Ma rimanere con tutte loro, anche solo per un attimo, le trasformò in un profondo senso di accettazione seguito dalla certezza interna che la scelta fatta era quella giusta in quel momento, non la migliore forse ma l’unica possibile per me. E i simboli emersi spontaneamente mi stavano anche dicendo di non disperare, più avanti ci sarebbero stati momenti positivi, schiarite e traguardi che però ora non erano ancora maturi….
Tutto questo era stato sentito nel corpo, nelle emozioni, nelle immagini spontanee, attraverso le parole “giuste” che definivano quella sottile ma precisa sensazione sentita nel corpo che Gene Gendlin ha chiamato Felt Sense. Ed era durato non più di 30 minuti: una vera “magia”, un’autocura di cui Germana era stata facilitatrice e allo stesso tempo testimone neutrale, ma presente, lì con me tutto il tempo.
Quando rientrai a Torino quella sera solo la tranquillità e la serenità della mente mi facevano ancora compagnia.